VIDEO | Nella fase 2 le donne al centro di una nuova economia della cura, oltre il taylorismo

ROMA – Rivedere i modelli organizzativi del lavoro, superando anche in Italia il taylorismo, modello “gerarchico e maschilista” altrove già ampiamente sorpassato, per invertire la diminuzione del tasso di imprenditorialità del Belpaese, e andare oltre il bipolarismo Stato-mercato per approdare al modello tripolare Stato-mercato-comunità. Perno di questa operazione, presentata oggi nella tavola rotonda di DireDonne ‘Ripartiamo? Le ragioni dell’impresa e i bisogni dei più fragili’ da Stefano Zamagni, economista e presidente della Pontificia Accademia per le scienze sociali, dovranno essere le donne, la loro “capacità di relazionarsi e di estrarre conoscenza”, in grado di intraprendere una direzione nuova per il nostro sistema Paese, quello della “resilienza trasformativa”.

Che ci sia bisogno di un nuovo protagonismo al femminile nella ripartenza è convinta anche Patrizia Di Dio, imprenditrice e presidente nazionale di Terziario Donna di Confcommercio al suo secondo mandato. “Abbiamo parlato per prime dell’economia di un nuovo umanesimo che può essere messa al centro del nostro futuro e abbiamo sentito la necessità di scrivere un manifesto in 18 punti che parte dai nostri valori di vita personali, sovrapponibili ai nostri valori d’impresa”, continua Di Dio che sottolinea l’importanza di sviluppare, a partire dalla sensibilità delle donne, “un senso di cura dei nostri territori e un ripensamento della nostra economia che guardi al locale, per un fatto solidaristico”, ma anche “opportunistico”, perchè adesso “non possiamo più permetterci un’assenza di consapevolezza dei consumi”.

A rompere gli stereotipi con la sua storia Loretta Forelli, presidente del settore metallurgia dell’Associazione industriale bresciana, settore tipicamente maschile, da quarant’anni alla guida della fonderia Forelli Pietro Srl, che ricorda come proprio a Brescia, tra i territori più colpiti dalla pandemia “su cui c’è da riflettere e non da archiviare”, circa “23mila aziende su 118mila” siano femminili, con un aumento costante sul territorio del numero di donne imprenditrici. “Nella mia azienda ho dieci etnie diverse, se non avessi avuto gli extracomunitari fino a dieci anni fa non avrei avuto manodopera- racconta- Trovare un equilibrio, una sintesi tra tante etnie è uno dei compiti precipuamente femminili,

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