Eniko Gyori, eurodeputata ungherese di Fidesz, il partito del premier Orban, attacca l’Ue sul meccanismo che lega l’erogazione dei fondi europei al rispetto dello stato di diritto
ROMA – “Non vogliamo che un’istituzione dell’Unione Europea ci possa punire per i nostri principi conservatori con la scusa della condizionalità sullo stato di diritto”. Così Eniko Gyori, eurodeputata ungherese di Fidesz, il partito di governo ungherese, afferente al gruppo dei Popolari al Parlamento europeo, in un’intervista con l’agenzia Dire, in merito alla minaccia di veto da parte di Viktor Orban al bilancio pluriennale europeo 2021-2027 – al quale è legato il Next Generation Eu -. Una scelta, questa, adottata in ritorsione per l’accordo raggiunto a Bruxelles sul cosiddetto meccanismo di condizionalità, che lega l’erogazione dei fondi europei al rispetto dei principi alla base dell’Unione Europea.
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“La nostra identità nazionale è diversa da quella degli altri Paesi e noi vogliamo difendere questa differenza, non vogliamo regole europee che ci dicano come far funzionare lo Stato ungherese”, spiega l’eurodeputata, contraria alla condizionalità. “Non c’è una nozione precisa di stato di diritto in Europa, chi decide cosa è accettabile e cosa no?”.
Ad esempio, prosegue Gyori, “l’Ungheria ha una politica molto chiara contro l’immigrazione illegale, è favorevole solo al matrimonio tra uomo e donna e ha adottato una Costituzione conservatrice con valori cristiani, principi che devono restare di competenza nazionale”.
La questione, secondo l’eurodeputata, è tutta politica: “Il Parlamento europeo vuole punire l’Ungheria, lo ha fatto in passato approvando una risoluzione problematica, dove l’Ungheria è stata condannata soprattutto per la sua forte posizione sull’immigrazione e i suoi valori conservatori, come il concepire il matrimonio come unione solo tra uomo e donna”.
Per quanto riguarda le critiche rivolte a Budapest da associazioni internazionali sull’indipendenza della magistratura e dei media, l’eurodeputata risponde che “l’Ungheria è aperta al dibattito per risolvere i problemi” ma che “legare i fondi europei allo Stato di diritto va oltre le competenze dell’Unione Europea stessa”.