ROMA – “È importante rimuovere la statua di Indro Montanelli non solo per Destà, ma per tutte le donne africane nere che sono state molestate, stuprate e violentate come Destà. È importante che lo Stato riconosca i crimini che sono stati commessi. Onorando Destà lo Stato riconosce la presenza di un certo gruppo di persone, delle donne nere per esempio, e si prende la responsabilità di quello che è successo nel passato”. Non usa mezzi termini e va dritta al punto Bridget Ohabuche, fondatrice e coordinatrice del collettivo afrofemminista Nwanyi – che in lingua igbo significa ‘donne’ -, intervistata dall’agenzia di stampa Dire in merito all’aspra polemica nata negli ultimi giorni sul monumento dedicato a Indro Montanelli nei giardini di Porta Venezia a Milano, tra chi ne chiede la rimozione, chi no e chi ne difende la figura.
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La lettera al sindaco di Milano: “Via la statua di Indro Montanelli”
Al centro del dibattito la carica simbolica e celebrativa della scultura che, secondo i fautori della sua rimozione – chiesta negli scorsi giorni al sindaco del capoluogo lombardo Beppe Sala dai Sentinelli di Milano – non tiene conto del passato del giornalista, che durante quella che lui chiamava “l‘avventura etiopica“, in pieno periodo coloniale fascista, comprò e ‘sposò’ una bambina di 12-14 anni di nome Destà. È proprio al sindaco di Milano che l’attivista, studentessa 31enne di Giurisprudenza all’università Roma Tre già laureata in Relazioni Internazionali, rivolge il suo appello: “Se potessi parlare col sindaco Sala io gli direi che parlare di antirazzismo senza praticarlo è ipocrisia- dice netta- Perché a Milano l’anno scorso è stata organizzata una manifestazione contro il razzismo, dallo stesso partito a cui lui appartiene. Parlare di razzismo, organizzare le manifestazioni sul territorio, è inutile se non pratichi quell’antirazzismo“. Per Bridget rimuovere la statua è “un simbolo”, una “responsabilità che bisogna prendere per rispettare la stessa gente con cui tu tanto vuoi combattere il razzismo”.