Mayada Adil: “La moda africana non è più in esilio”

ROMA – Sulle radiografie al torace, che possono rivelare polmoniti interstiziali, oggi ci sono pennellate di bianco e di blu. Sono i colori della resistenza, della gioia e del lutto indossati dalle donne del Sudan. “Dopo i giorni di quarantena torno a lavorare a una collezione panafricana” sospira in collegamento video Mayada Adil, piercing e sorriso da regina, come la sua Nubian Queen, l’eroina-icona Amanishakheto in “thobe” bianco, che nel 21 avanti Cristo costrinse a un trattato di pace l’imperatore Augusto.

mayada adilVentisei anni, nata a Khartoum ma cresciuta in Arabia Saudita e spinta di nuovo a scappare dal Sudan dopo essere stata aggredita da un poliziotto pochi giorni prima che nel Paese dilagasse la rivolta, è ginecologa, modella e stilista. Oggi il suo Paese di origine sta cambiando, dopo le proteste per il pane, gli spari ad alzo zero sui dimostranti e infine il presidio popolare di fronte al quartier generale dell’esercito che ha obbligato il presidente-generale Omar Hassan Al-Bashir a lasciare dopo 30 anni al potere.

Con l’agenzia ‘Dire’, Adil parla da Parigi, dove è rifugiata politica dal 2018. “Al commissariato sapevano già tutto di me, ho avuto paura” ricorda di quel pomeriggio, con la decisione di sporgere denuncia e poi la partenza con il cuore che batte forte e il timore di essere fermata di nuovo all’aeroporto. Prima che si aprisse una pagina nuova, in Francia, aveva anche lavorato nei campi dei profughi sud-sudanesi insieme con l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms).
Anche per questo oggi parla con speranza della riforma della Legge 141, approvata su impulso del governo di transizione composto da militari e civili nato dalla rivoluzione e guidato dall’economista Abdalla Hamdok. Le nuove norme prevedono fino a tre anni di carcere per chi pratichi o favorisca le mutilazioni genitali femminili. Secondo Adil, “si tratta di una vittoria per tutte le donne e per le nuove generazioni” anche se “le associazioni e i gruppi femministi che si battono per la tutela dei diritti riproduttivi e della salute devono ora continuare il lavoro per sradicare l’ignoranza e lo stigma nelle società sudanesi”.

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