ROMA – Arrivato a Bologna dopo la fuga, le carceri libiche, la traversata via mare e lo sbarco a Lampedusa, Kwabena gestisce il caprile dell’Università di Bologna. Gode della protezione umanitaria, ma la Corte d’appello ha ribaltato la sentenza. Ora si aspetta la Cassazione.
“Kwabena è uno di noi. Lui è spettacolare, ce lo teniamo stretto”. A parlare è Arcangelo Gentile, ordinario della facoltà di veterinaria dell’Università di Bologna e presidente di Vet for Africa, circolo affiliato alle Acli di Bologna con sede a Ozzano, progetto nato a partire dall’esperienza di solidarietà che dal 2003 alcuni studenti di medicina veterinaria dell’Ateneo bolognese stanno portando avanti ad Hanga, un piccolo villaggio del sud della Tanzania.
LA NUOVA VITA DI KWABENA
Kwabena, invece, è un ragazzo di origine ghanese di 28 anni, fuggito dal suo paese e arrivato in Italia nel 2016, dopo quattro anni nelle carceri libiche tra torture e violenze. Poi il viaggio in mare, lo sbarco a Lampedusa e il trasferimento nel capoluogo emiliano.
Kwabena ed Ebrima – un coetaneo originario del Gambia – furono scelti per un tirocinio formativo proprio al Dipartimento di veterinaria: il loro compito era occuparsi del caprile, imparare un mestiere e trovare un impiego. Ebrima, oggi, un lavoro ce l’ha, assunto a tempo pieno da un allevatore con più di cento capre. Kwabena, invece, è rimasto: un contratto da operaio agricolo a tempo parziale e 30, 35 capre (ma il mese scorso sono state molte di più, considerati i 16 parti gemellari) che lui accudisce con passione e professionalità.
“Con gli orari si autogestisce: munge la mattina e il pomeriggio, si organizza lui il lavoro come meglio crede. È stato lui a seguire anche i parti: è assolutamente autonomo, ci contatta solo in caso di capre ammalate o parti difficili”.
Kwabena vive in una casa poco distante dal caprile messa a disposizione da un convento delle vicinanze: “Si prende cura anche dei fiori delle suore, dicono che non hanno mai avuto un giardino così bello e rigoglioso – sorride Gentile,