Coronavirus, i curati in Veneto col plasma sono andati bene

VENEZIA – Tolto il caso del malato deceduto (era in terapia intensiva da 14 giorni e con altre gravi patologie “che hanno impedito qualsiasi effetto del plasma”), i 23 pazienti che in Veneto hanno ricevuto il plasma dei guariti dal coronavirus “in linea di massima sono andati bene: sono tutti viventi, molti sono stati dimessi e gli altri sono in fase di riabilitazione”. A fare il punto è oggi Giustina De Silvestro, direttore dell’immunoematologia dell’Azienda ospedaliera di Padova dove appunto è partita la sperimentazione di questa terapia, incontrando gli organi di informazione al fianco del presidente del Veneto, Luca Zaia. E’ stata l’occasione per rimettere in fila i passaggi che hanno portato all’avvio del percorso terapeutico, per evidenziare “la notevole disponibilità” dei donatori, e ribadire che si andrà avanti anche e soprattutto in previsione della possibile seconda ondata di Covid per l’autunno. Cioè per “creare scorte di plasma utilizzabili se dovessimo avere una recrudescenza” del coronavirus, ma “in fase molto più precoce”, spiega De Silvestri. Cioè da usare ‘subito’.

LEGGI ANCHE: Coronavirus, Bocelli dona il plasma iperimmune dopo aver avuto il Covid

Qui sta una differenza tra i 23 casi veneti e quelli “non confrontabili” di Pavia perchè erano “pazienti molto meno gravi, trattati molto precocemente in reparto medico”. In Veneto dopo la donazione di plasma “nessuno ha dato risposta entro 24-36 ore come a Pavia, però tutti hanno avuto miglioramenti dopo la somministrazione“, specifica De Silvestro. Dunque su questa strada si proseguirà, forti dei primi passi (il plasma è stato donato anche a quattro casi ‘compassionevoli’ cioè su cui si presume che la cura non abbia efficacia) e della disponibilità di donatori: finora 199, ma solo a Padova c’è una lista d’attesa di 350 con appuntamenti prenotati per appurare che sia possibile raccoglierne il plasma, e gli altri dipartimenti veneti “sono sugli stessi livelli. 

Del resto donare il plasma ‘giusto’ per combattere il Covid-19 non è così ‘automatico’: “Dopo l’appello del presidente Zaia, abbiamo avuto una grande offerta di donatori”, racconta De Silvetro, ma non tutti i guariti sviluppano il dosaggio di anticorpi sufficiente. Serve un ‘titolo’ anticorpale superiore a 160 e finora il 50% dei donatori lo aveva inferiore a 80 e solo uno su tre uguale o sopra 160.

 » Continua a leggere su DIRE.IT…