Libia, a Yefren l’ong berbera consegna aiuti sognando democrazia

“Oltre alla guerra e al coronavirus, a nella cittadina di Yefren la vera sfida è la povertà”: parla Hussein Kafo, il presidente dell’associazione At Yefren

At Yefren è nata nel 2012, all’indomani dei moti popolari che invocavano riforme democratiche, a cui poi è seguito un conflitto non ancora terminata. L’obiettivo dell’ong: mettere a disposizione osservatori elettorali facendo rete con altre organizzazioni locali e internazionali. Come sottolinea Kafo, lo scopo è “favorire il cambiamento democratico” e con i colleghi, circa una trentina, sono state seguite elezioni amministrative in tutta la Libia e anche le legislative dello scorso anno in Tunisia. Il recente blocco ai trasporti e alle attività commerciali imposto da Tripoli per limitare i contagi da Covid-19 ha costretto però l’organizzazione a rivedere la propria missione.

“Abbiamo dovuto fare appello a donazioni private – dice il presidente – e oggi siamo riusciti a consegnare pacchi alimentari e denaro a oltre 300 famiglie in difficoltà”. All’attivismo solidale Kafo ha unito l’impegno politico. E’ stato eletto sindaco di Yefren, e alla Dire spiega i problemi della sua città: “Qui sono arrivate circa 180 famiglie da Tripoli, scappate a causa del conflitto tra il Governo di accordo nazionale e il generale Khalifa Haftar, iniziato ad aprile 2019. Molte di loro non hanno una casa o un lavoro e così il Comune le aiuta a pagare l’affitto o a trovare un impiego. Ma ora a causa del lockdown si è fermato tutto“.

Molte famiglie sono raggiunte dagli aiuti offerti della ong. Tra i beneficiari ci sono anche i residenti di Yefren e gli stranieri: “Tanti africani si sono stabiliti qui per lavorare” dice Kafo, che tiene a chiarire che non si tratta di profughi: “A loro provvede l’Organizzazione internazionale per le migrazioni”. Ci sono la pandemia e il conflitto libico ma il presidente di At Yefren chiarisce: “Qui le bombe non arrivano. Inoltre abbiamo un ottimo ospedale e siamo gli unici nella zona ad effettuare i test per il coronavirus”.

La vera minaccia quindi sarebbe la povertà: “Abbiamo chiesto alla gente di restare in casa per contenere il virus,

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