All’Asl Roma 1 sperimentato test congiunto per Covid-19 ed epatite C

Dopo Pozzuoli, Alessandria, Brindisi, Benevento e Siracusa, la sesta tappa del progetto HAND si è svolta a Roma

ROMA – “Per garantire una continuità nelle terapie per i pazienti con Epatite C in Italia bisogna insistere con la strategia di messa a sistema di tutto il servizio sanitario nazionale su questo obiettivo. Nel periodo immediatamente successivo al lockdown abbiamo compreso un elemento, messo anche nero su bianco nella relazione al Parlamento, che è quello della possibilità di sottoporre la popolazione a screening sierologico congiunto sia per il Covid-19 sia per l’epatite cronica Hcv. Ciascuno dei due ha infatti una sorta di effetto trainante reciproco per l’altro”. Lo ha detto Pietro Casella, direttore sostituto UOC Dipendenze – ex Asl Roma E (ora Asl Rm1), intervenendo al corso di formazione ECM sulla gestione dei tossicodipendenti con Epatite C, organizzato dal provider Letscom E3 con il contributo non condizionante di AbbVie. Dopo Pozzuoli, Alessandria, Brindisi, Benevento e Siracusa, la sesta tappa è stata quindi a Roma, dove si è svolto l’incontro dal titolo ‘Buone prassi e networking nella gestione dell’epatite C in soggetti con disturbo da addiction, al tempo del Coronavirus’. I corsi di educazione continua in medicina (che saranno in totale 17 su tutto il territorio nazionale) rientrano nell’ambito del progetto ‘HAND – Hepatitis in Addiction Network Delivery’, il primo progetto pilota di networking a livello nazionale patrocinato da quattro società scientifiche (SIMIT, FeDerSerD, SIPaD e SITD), che coinvolge i Servizi per le Dipendenze e i relativi Centri di cura per l’HCV afferenti a diverse città italiane.

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“Ma la cosa importante, soprattutto- ha proseguito Casella- è che abbiamo rilevato l’importanza di questo test congiunto in questa prima fase del progetto, durante la quale abbiamo sottoposto a screening per il Covid-19 il gruppo di persone che sono in trattamento nei nostri servizi. Questo rappresenta davvero una trasformazione del rapporto terapeutico, per cui la persona si sente presa in carico globalmente come persona portatrice di un problema di salute. La possibilità di effettuare all’interno dei programmi terapeutici un test per il Covid-19 rappresenta quindi anche una facilitazione al reclutamento per lo screening per l’Hcv.

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