AGI – E’ facile immaginare come verrà presa, dalle parti della Casa Bianca, la notizia del rinnovo dell’accordo tra Cina e Vaticano: più o meno un’onta, vista la propensione di Donald Trump a ridurre tutto al piano delle relazioni personali. Tra pochi giorni si vota, in America, ed i cattolici sono la comunità religiosa più numerosa a livello nazionale. Non che siano uniti – tutt’altro – ma vedere un Papa che apertamente fa orecchio da mercante ai fin troppo espliciti inviti di Mike Pompeo qualche effetto potrebbe ben averlo.
I lunghi tempi dei longevi
In Vaticano le perplessità sul rinnovo, se mai ve ne siano state, sono finite tutte nel cestino il momento in cui il segretario di stato americano ha cercato di mettere nell’angolo l’omologo vaticano. Pietro Parolin parla sì a voce bassa, ma non pare sia abituato a farsi dare sulla voce.
Papa Francesco, Cina
Il risultato è che l’accordo con Pechino (semisegreto: parte delle norme restano riservate e parte sono svelate dalla prassi) per la nomina dei vescovi durerà almeno due altri anni ancora. Un limite temporale che visto da Washington è un’eternità: si arriva alle elezioni di metà mandato. Visto da Pechino e da Oltretevere molto meno: un soffio, un apostrofo tra due parole, se è vero che il Regno di Mezzo nacque giusto mentre Annibale scorazzava per la piana di Canne e il primo Vicario di Cristo calcava le polverose strade di Roma appena, appena, due secoli dopo. La pazienza è la virtù dei longevi.
Pertanto sono i tempi lunghi che devono essere considerati, per valutare a fondo cosa sta accadendo e perché accade.
All’ombra degli antenati
È chiaro che il metodo preferito da Papa Francesco sia quello dell’inculturazione, sperimentato dal gesuita Matteo Ricci appena l’altroieri, vale a dire sul fi