ROMA – “Rispetto alla situazione dei migranti i Paesi centroamericani dovrebbero fare fronte comune, anche con le organizzazioni della società civile, invece di assecondare le politiche ricattatorie degli Stati Uniti”. A dirlo è Carlos Leiva, direttore del Centro de Investigacion y Promoción de los Derechos Humanos (Ciprodeh) nella capitale honduregna Tegucigalpa. Con l’agenzia Dire parla di una crisi tra i governi della regione innescata da una nuova carovana di migranti, la seconda in tempi di pandemia dopo una molto ridotta in termini numerici di luglio. Il primo ottobre circa 3.000 persone partite dalla seconda città dell’Honduras, San Pedro Sula, erano riuscite a valicare la frontiera con il Guatemala passando oltre il blocco imposto dal presidente Alejandro Giammattei. Il criterio di tutela sul piano sanitario ha però avuto la meglio sull’accordo di libero transito in vigore tra Honduras e Guatemala, e i membri della carovana sono stati deportati e i loro viaggi in direzione degli Stati Uniti attraverso il Messico interrotti. “Stiamo assistendo alla criminalizzazione dei migranti in Centroamerica” denuncia Leiva. “Se non vengono deportati, infatti, vengono rinchiusi in centri di detenzione“. Il direttore di Ciprodeh definisce questo comportamento “disumano” e sottolinea che “donne, bambini e anziani vengono tutti sottoposti a questo trattamento senza alcun riguardo”. Secondo Leiva, il nodo centrale della questione è da ricercarsi nei rapporti con gli Stati Uniti, che ha conseguenze di diverso tipo, come dimostra il caso dell’Honduras. “Il governo del presidente Juan Orlando Hernandez ha firmato l’anno scorso con Washington un accordo sull’asilo, entrato in vigore ad aprile, che permette di fatto i respingimenti”. Secondo il direttore di Ciprodeh, “il risultato è che ai cittadini honduregni viene sottratto il diritto fondamentale di chiedere asilo”. L’Honduras è il terzo Paese dopo El Salvador e Guatemala a siglare un accordo del genere. “Per quanto riguarda il governo di Hernandez non mi stupisce, è da sempre prono al volere americano” dice Leiva, che aggiunge di augurarsi che nella regione “il diritto internazionale prenda il sopravvento su queste misure assurde”.
Fonte di maggiore stupore invece è il cambio di rotta che ha iniziato a manifestare anche il Messico.