VIDEO | Lo sviluppo digitale? “Frenato dalla tassa Ue sulle multinazionali tech”

MILANO – Il verde e il blu, l’ambiente e il digitale. Come farli convivere? Con una politica che punti concretamente, e senza ipocrisie, sullo sviluppo di competenze nuove e sulla transizione energetica. Il percorso avviato dall’Unione europea verso la sostenibilità è più in discesa rispetto a quello tortuoso di Cina, Giappone e Stati Uniti, tutti Paesi dove il costo dell’energia ‘sporca’ è ancora troppo basso per far favorire un ribaltamento economico.

Ma sul digitale, c’è ancora tanto da fare. Da Bruxelles sono consapevoli dei ritardi, anche se va dato atto a Ursula Von der Leyen, presidente della commissione Ue, di aver tracciato la strada della trasformazione digitale che l’Europa deve percorrere. Un sentiero a ostacoli, con la grana da risolvere che riguarda la tassazione delle multinazionali del ‘Tech’, la spada di Damocle che incombe sull’Unione, frenando la digitalizzazione: “Sarebbe ideale una normativa a livello internazionale. Chi ha introdotto qualche tipo di tassazione ha avuto ritorsioni in termini di dazi dagli Stati Uniti, dove hanno base le maggiori compagnie del digitale. Gli Usa poi, in vista delle elezioni di novembre, hanno sospeso i negoziati”, spiega l’economista Irene Tinagli, durante un dibattito al ‘Verde e Blu Festival’ di Milano, al quale hanno partecipato, oltre a lei, anche l’ex segretario Fim Cisl Marco Bentivogli, Carlo Cottarelli e il Sindaco di Bergamo Giorgio Gori.

Nel frattempo, l’Europa non vuole comunque restare a guardare: “Ci sarà una proposta entro il 2020, ma sarà difficile. Il problema è che per le riforme fiscali ci vuole l’unanimità: tutti gli stati membri dell’Unione dovrebbero accettare una nuova tassazione. Ma molti Paesi, penso a quelli più piccoli come Irlanda, Svezia e Danimarca, sono restii. La loro economia è più legata alle imprese del digitale”, prosegue l’economista. 

Attualmente, l’Italia è agli ultimi posti negli indici europei della digitalizzazione. Si pensa troppo spesso che a mancare siano le competenze, “ma la realtà è che la classe politica ha pensato che non servissero”, punge Gori. La consapevolezza dell’assenza di una cultura digitale nel nostro Paese, ci mette di fronte ad un’altra grande evidenza. Le sperimentazioni tecnologiche non vanno ancora di pari passo con la diffusione di un’informazione adeguata: “Facciamo fatica a spiegare ai cittadini che il 5G, una grande opportunità per noi, non fa male alla salute, figuriamoci se riusciamo a far passare il messaggio della sua utilità”,

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