Gli specialisti gastroenterologi, impegnati nella definizione del rapporto tra MICI e Covid-19, promuovono la telemedicina: durante il lockdown il 70% delle visite è stato online. Oggi un medico su due continua con tecnologia e consulti a distanza
IL LEGAME TRA COVID E MICI – La pandemia ha messo in allarme tutti i soggetti affetti da patologie croniche, ritenuti pazienti fragili e dunque maggiormente esposti al virus. L’ipotesi iniziale, poi smentita, è stata dunque che anche i pazienti affetti da MICI – Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali (malattia di Crohn o colite ulcerosa) fossero più suscettibili all’infezione da SARS-CoV-2 e ad una forma più severa di COVID-19, sia perché affetti da infiammazione cronica con danno intestinale, sia perché spesso in trattamento con farmaci immunosoppressori. Anche il meccanismo con cui il virus agisce sembrava suggerire questa conclusione: il SARS-CoV-2 entra nell’organismo umano attraverso il legame di una glicoproteina di superficie con i recettori ACE2 altamente espressi sulle cellule epiteliali che rivestono le vie aeree (pneumociti). Da qui si attiva il sistema immunitario, generando uno stato di infiammazione acuta, nel tentativo di sopprimere la replicazione virale all’interno della cellula polmonare, che ha esiti diversi da individuo a individuo. I recettori ACE2 sono presenti anche a livello dell’epitelio intestinale, e sintomi gastrointestinali nei soggetti sani con infezione da SARS-CoV-2 sono stati riportati nel 18% degli infetti.
“E’ stato però riportata un’incidenza cumulativa di infezione da SARS-CoV-2 nei pazienti affetti da MICI di circa lo 0.25%, percentuale lievemente inferiore a quella “teorica” registrata a livello nazionale – evidenzia Alessandro Armuzzi, Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS Università Cattolica del Sacro Cuore e fino a novembre 2019 Segretario Nazionale IG-IBD – Trend simili sembrano riguardare la necessità di ospedalizzazione, di ventilazione meccanica, di intubazione. I tassi di mortalità dei pazienti affetti da MICI e COVID-19, infine, sembrano anch’essi lievemente inferiori (3%) rispetto a quelli della popolazione generale, seppur con variazioni geografiche non trascurabili”.
Diversi studi nazionali e internazionali dimostrano che i fattori di rischio per un’evoluzione peggiore della COVID-19 nei pazienti affetti da MICI sono risultati essere l’età avanzata, la presenza di comorbidità, la malattia intestinale attiva e l’utilizzo di corticosteroidi.