Quarant’anni fa Mario Amato ucciso dai fascisti, cerimonia a Roma

ROMA – Sono passati 40 anni dal giorno in cui Mario Amato, giudice palermitano all’epoca sostituto procuratore della Repubblica di Roma, venne assassinato a sangue freddo, con un colpo di pistola alla nuca esploso alle sue spalle da due esponenti dei Nuclei armati rivoluzionari (Nar), mentre attendeva l’autobus che avrebbe dovuto portarlo nel suo ufficio a piazzale Clodio a indagare sui faldoni delle inchieste sul terrorismo nero nel Lazio. Il 23 giugno 1980, a poche settimane dalla strage di Bologna, Amato venne lasciato esangue a terra all’incrocio tra viale Jonio e via Monte Rocchetta, tra i quartieri di Val Melaina, Tufello e Montesacro, a poche centinaia di metri da dove risalendo lo stesso ‘fil noir’, solo quattro mesi prima nello stesso anno, l’eversione aveva spezzato un’altra vita, quella giovanissima di Valerio Verbano. E proprio su quell’incrocio, dove oggi c’è una stele in sua memoria, Mario Amato è stato ricordato stamattina con una cerimonia commemorativa: a rendergli onore numerose autorità, tra le quali il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, il procuratore generale della Corte di Cassazione, Giovanni Salvi, il vicesindaco di Roma, Luca Bergamo che ha posto una corona a nome del Campidoglio e il presidente del III Municipio, Giovanni Caudo, ma anche Paolo Bolognesi, presidente dell’Associazione Familiari vittime della strage del 2 agosto 1980, Marco Damilano, direttore de L’Espresso e tanti cittadini della zona, compreso chi quella mattinata di quarant’anni fa se la ricorda bene, e i congiunti del magistrato, come la moglie.

“È immorale e vigliacco uccidere alle spalle un proprio simile senza nemmeno il coraggio di guardare negli occhi dell’altro, è un movimento avverso e contrario anche a quei principi democratici che difendono e comprendono le minoranze, che soni proprio il motivo per cui le minoranze fasciste ancora oggi hanno modo e libertà di espressione”, le parole di Sergio Amato, figlio del magistrato, al suo primo intervento pubblico in ricordo del padre. Oggi qui, ha aggiunto, “raccogliamo il monito del presidente della Repubblica: l’unica fedeltà che si richiede a un servitore dello Stato è quella alla Costituzione e ai suoi principi“.

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