VIDEO | Rapporto di Amnesty International: dagli Usa all’Arabia tante violazioni

ROMA – Amnesty International Italia ha presentato oggi il Rapporto 2019-2020, un volume che come ogni anno si propone di fare il punto sullo stato di salute dei diritti umani nel mondo. L’edizione di oltre 200 pagine realizzata dalla sezione italiana dell’ong, oltre a proporre la traduzione delle cinque panoramiche regionali realizzato dal segretariato internazionale, analizza 19 Paesi in particolare attraverso una serie di criteri tra i quali: la gravità delle violazioni dei diritti umani, la valenza strategica di tali Paesi sul piano globale, la loro rilevanza dal punto di vista giornalistico e le loro relazioni con l’Italia.

Il Rapporto, edito da Infinito Edizioni, con la prefazione firmata dallo scrittore Moni Ovadia e curato da Beatrice Gnassi, avvicina lo sguardo su Arabia Saudita, Brasile, Cina, Egitto, India, Iran, Italia, Libia, Myanmar, Polonia, Repubblica Centrafricana, Russia, Siria, Somalia, Stati Uniti, Sudan, Turchia, Ungheria e Venezuela.

Attraverso questi Paesi emerge in particolare un certo rinnovato attivismo, come si può osservare dalla rivoluzione in Sudan che ha posto fine al governo di Omar Al-Bashir, da 30 anni al potere, nonché le proteste di novembre in Iran per chiedere riforme democratiche, oppure quelle di marzo, ottobre e novembre contro leggi giudicate liberticide in Egitto. In quest’ultimo Paese, come nella maggior parte di quelli esaminati, si è osservato un giro di vite al dissenso, con cortei dispersi con la forza e incarcerazioni di dissidenti e intellettuali.

In Iran, invece, denuncia Amnesty, “le forze di sicurezza hanno represso una serie di proteste tenutesi in tutta la nazione, uccidendo oltre 300 persone, compresi bambini, secondo dati forniti da fonti attendibili”. In Cina poi, l’ong denuncia “processi iniqui e tortura e altri maltrattamenti in custodia” così come “nuovi casi di detenzione” a danno di minoranze quali “gli uiguri, kazaki e membri di altri gruppi etnici prevalentemente musulmani nella regione dello Xinjiang, nonostante l’annuncio del governo di una possibile graduale eliminazione dei ‘centri di formazione professionale’”.

Sono finiti nel mirino delle autorità anche i musulmani del Kashmir,

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