Zero contagi in Veneto. “Il modello funziona”

Il Veneto ha raggiunto oggi il livello zero contagi: ad annunciare il risultato, ottenuto in netto anticipo rispetto alle previsioni, è stato il professor Andrea Crisanti, direttore della Microbiologia dell’Università di Padova e consulente scientifico della regione. “Questo è il risultato di un lavoro che ha visto in prima linea la Regione, l’Università di Padova e l’Azienda Ospedale di Padova”, ha spiegato Crisanti, “va a tutte le persone che hanno lavorato giorno e notte per aggiungere questo risultato, e alla fine l’intuizione di cercare gli asintomatici ha pagato”.

“Il modello Veneto funziona”, ha sottolineato Crisanti, “lo zero è un bene prezioso da conservare con un comportamento virtuoso”. Il virologo ha ringraziato “tutti quelli che ci hanno creduto, a chi ha rispettato le regole spesso dure delle precauzioni messe in atto per il contenimento dei contagi, confidando che questo importante traguardo non vada perso”.

Dal bollettino del Veneto emerge che sono in totale 19.038 i casi di tamponi positivi, appena due in più di ieri: ma dalle 8 alle 17 di oggi i contagi sono stati zero. Gli attualmente positivi sono 3247 (-259), 13.938 i negativizzati (+240). In isolamento domiciliare ci sono 3210 cittadini (-240). Nelle ultime 24 ore ci sono stati cinque morti, due all’ospedale di Treviso, due in quello di Villafranca veronese. Prosegue il calo nelle terapie intensive, dove si trovano 40 pazienti (-6), dei quali 27 già negativizzati, su un totale 550 pazienti ricoverati (-21).

Per il Veneto il traguardo degli zero contagi rappresenta un grande salto rispetto a tre mesi fa, quando si scoprì il focolaio di Vo’, il piccolo comune in provincia di Padova dove viveva la prima persona morta ufficialmente di COVID-19 in Italia. Insieme a Codogno, quello di Vo’ fu identificato come il focolaio italiano dell’epidemia, e per giorni la preoccupazione per la situazione in Veneto fu molto alta, al pari di quella per la Lombardia e l’Emilia-Romagna, le regioni che da subito sembrarono più coinvolte. Ma da allora l’approccio “community based” della regione ha fatto la differenza e il numero dei morti è rimasto di poco superiore ai 1800. Questo grazie a una sorveglianza attiva in cui si sono cercati i casi sul territorio senza aspettare che i positivi si presentassero dal medico o in ospedale alla comparsa dei primi sintomi. Il Veneto ha eseguito, in proporzione sulla sua popolazione, il doppio dei tamponi per l’accertamento di infezione della Lombardia, e addirittura un numero 2,7 volte maggiore nella prima settimana dell’epidemia.

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