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Demolito slum in Kenya, in migliaia sono senza casa: “Non hanno pietà”

L’attivista: “Perché in piena pandemia? Scuole, chiese e numerose attività sono state colpite dalle demolizioni, e la gente vaga per la zona”

di Brando Ricci

ROMA – Circa 7.000 abitanti dello slum di Kariobangi, sobborgo orientale di Nairobi, da due settimane sono senza casa e senza assistenza. All’alba del 4 maggio sono state demolite le loro abitazioni e le terre sulle quali sorgevano, considerate proprietà del Comune, sono state destinate ad altri utilizzi. Lo sfratto è stato eseguito in una città, la capitale keniana, dalla quale non si può né entrare né uscire e dove le attività non essenziali sono sospese per contenere la pandemia di Covid-19.

PERCHÉ NON ASPETTARE LA FINE DELLA PANDEMIA?

“Perché adesso, in questa fase così delicata?” chiede Stephano Otieno. “Perché non hanno voluto neanche aspettare?”. Con l’agenzia Dire quest’attivista di 27 anni fa il punto della situazione nel quartiere dove vive e dove ha fondato insieme ad altri giovani il Kariobangi Social Justice Centre, un’organizzazione che si propone di “educare, organizzare e liberare la comunità da ogni forma di ingiustizia”.

Otieno riferisce che giorni dopo gli sgomberi e una serie di proteste, governo, ministero dell’Acqua e istituzioni di Nairobi si sono incontrati e hanno deciso di fermare le demolizioni. Al tempo stesso venerdì, riferisce l’attivista, anche “un’organizzazione di contadini della zona del quartiere colpita dagli sfratti, la Kariobangi North Sewerage Estate, ha ottenuto da una tribunale locale lo stop a ulteriori operazioni”.

Un’ordinanza della corte c’era tuttavia anche il 4 maggio ma non era bastata per fermare gli sfratti. L’attivista ricorda che, nonostante un tribunale avesse bloccato gli sgomberi “i bulldozer e oltre 200 poliziotti hanno distrutto senza pietà le case senza neanche garantire ai residenti un passaggio sicuro per portare via le loro proprietà”. Il tutto, riferiscono alla Dire, “con solo 24 ore di preavviso”.

Dall’amministrazione della capitale, spiega il fondatore del Kariobangi Social Justice Centre, “hanno detto che la terra è loro e che adesso dovevano apportare migliorie alla rete fognaria e all’impianto di acque reflue della zona”.

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