Ma gli Accordi di Abramo, con cui per la prima volta Emirati e Bahrein avviano “piene relazioni” con Israele, sono stati definiti “una pugnalata alle spalle” dai palestinesi
ROMA – “L’accordo che normalizza i rapporti tra Israele, Emirati Arabi Uniti e Bahrein è uno strumento. Può contribuire alla pace tra israeliani e palestinesi, perché attraverso i rinnovati rapporti politici, economici, culturali, entrambe le monarchie del Golfo – e in particolare gli Emirati – possono esercitare pressioni affinché si raggiunga una soluzione al conflitto. Ma chiaramente questo dipende dalla volontà di ogni singola parte”. Brian Reeves, capo ufficio comunicazioni di Peace Now, ong israeliana che si batte per un accordo di pace con i palestinesi e l’implementazione della cosiddetta “soluzione dei due Stati”, commenta per l’agenzia Dire quanto avvenuto ieri alla Casa Bianca: la firma, sotto lo sguardo del presidente Donald Trump, degli Accordi di Abramo con cui per la prima volta Emirati e Bahrein avviano “piene relazioni” con Israele.
Dal tempo delle guerre arabo-israeliane, i Paesi del Golfo si sono rifiutati di riconoscere in Tel Aviv un attore politico, posizione sancita dalla Lega araba attraverso la Arab Peace Initiative, che vincola le relazioni diplomatiche al ritiro di Israele dai territori occupati nel 1967.
Il processo di normalizzazione tra Israele e le due monarchie del Golfo ha generato proteste ieri tra i palestinesi: a centinaia sono scesi in strada in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza al grido di “non si normalizza l’occupazione”. Mahmoud Abbas, a capo dell’Autorità nazionale palestinese, ha gridato alla “pugnalata alle spalle”. Per Trump, invece, “è una nuova alba per il Medio oriente”, con il premier Benjamin Netanyahu che ha accolto i ministri degli Esteri di Emirati e Bahrein col tipico saluto arabo-islamico “As-salamu ‘Alaykum”, la pace sia con voi.
Secondo Reeves, il passo compiuto da Israele è storico. “Ha finalmente accantonato il piano di annessione di parti della Cisgiordania in cambio di alleanze strategiche coi Paesi arabi” dice il responsabile di Peace Now.