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Egitto, la famiglia di Patrick Zaki: “Buon compleanno tesoro, ci manchi tanto”

In Egitto, secondo le organizzazioni non governative, la stretta delle autorita’ alla liberta’ d’espressione e ai diritti civili in generale e’ sempre piu’ forte

ROMA – “Buon compleanno tesoro. Quest’anno, per la prima volta, passerai il tuo compleanno lontano da noi. Ci manchi tanto. Il nostro augurio per l’anno e’ semplice, passare insieme tutte le prossime occasioni, per poterci coccolare e festeggiare insieme”. Cosi’ la famiglia di Patrick Zaki, l’attivista e ricercatore egiziano per i diritti di genere iscritto all’Universita’ di Bologna, arrestato al Cairo l’8 febbraio per incitamento alla rivolta e attentato alle istituzioni tramite Facebook.

A rilanciare le dichiarazioni, il gruppo Patrick libero, che pubblica sui social network regolari aggiornamenti sulla situazione dell’attivista in lingua araba, inglese e italiana.

Il compleanno di Zaki cade in una giornata particolare: e’ stata fissata per oggi l’udienza per il rinnovo della detenzione cautelare, che secondo la legge egiziana puo’ essere convalidata ogni 15 giorni per un massimo di duecento.

All’agenzia Dire l’attivista e amico di Zaki, Amru Abdelwahab, ha dichiarato: “Come purtroppo ormai accade ogni volta, la decisione non verra’ comunicata entro la giornata. Anche questa udienza si svolge a porte chiuse: accesso vietato in aula per Zaki e i suoi legali“. La misura e’ stata implementata dalle autorita’ tre mesi fa, con la motivazione dei rischi di diffusione del coronavirus.

Per la liberazione dell’attivista di 28 anni si e’ creata una forte mobilitazione. Ieri a Bologna, dove Zaki da settembre frequentava un master, il Comune ha annunciato l’intenzione di accordargli la cittadinanza onoraria.

I difensori per i diritti umani denunciano l’inutilita’ della detenzione cautelare, dal momento che Zaki non sarebbe in grado di inquinare le prove e non rappresenta un pericolo sociale.

Inoltre, non sono ancora chiari i capi d’accusa a suo carico ma si teme che nel mirino degli inquirenti siano finiti dei post su Facebook in cui il ricercatore incitava le persone a protestare nelle piazze per chiedere maggiori diritti.

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