È’ il magistrato più blindato d’Italia. Sotto scorta da 27 anni, da dieci al massimo livello previsto. Nino Di Matteo, palermitano, oggi al Consiglio superiore della magistratura, pm di lungo corso che si occupa, da sempre, di indagini di mafia. Prima a Caltanissetta ha indagato e sostenuto l’accusa nei processi sulla strage di via D’Amelio (24 ergastoli), sull’omicidio del giudice Antonino Saetta (3 ergastoli); ha riaperto le indagini sulla strage Chinnici (ottenendo 16 ergastoli) e si è occupato di molte delle principali inchieste sia a Palermo – con il ‘pool Stato-mafia’ – sia alla Procura nazionale antimafia.
Ventotto anni fa la strage di Capaci. Quel 23 maggio 1992 rappresentò nella vita di Nino Di Matteo “un vero e proprio spartiacque”, dice all’AGI: “Avevo vinto da poco il concorso, stavo facendo il tirocinio alla procura di Palermo, in attesa di prendere servizio in quella di Caltanissetta. Fui colto da un sentimento di irrefrenabile angoscia e disorientamento. Giovanni Falcone per me, giovane studente che sognava di potere fare un giorno il magistrato, aveva rappresentato il modello di riferimento. Il simbolo della voglia di riscatto della mia terra e del mio popolo”.
Aggiunge Di Matteo: “La sera del 23 maggio, mentre piangevo non avrei mai immaginato che, solo dopo pochi anni, mi sarei trovato a indagare e a sostenere l’accusa nei processi sulle stragi del 1992. E di continuare ad approfondire, fino a oggi, i contesti non solo mafiosi in cui maturarono quegli attentati”. Oggi vive una vita blindata. “Da 27 anni – spiega ancora il magistrato, con determinazione, ma anche con evidente amarezza – sono scortato, da dieci con il massimo livello di protezione. Non posso e non voglio ricordare ad altri quante ansie, quanti sacrifici e quante rinunce questa situazione abbia comportato a me e alla mia famiglia. In questo Paese molti non capirebbero, altri fingerebbero di non capire”.
Anche Giovanni Falcone, ricorda Di Matteo, “diventò facile bersaglio di ipocriti perbenisti che lamentavano il fastidio che le misure di protezione di cui godeva il giudice arrecavano agli ‘onesti cittadini’. Molti di loro oggi fingono di onorare da morto quel giudice che, da vivo, insultavano e deridevano”. In un anno così particolare, per tante ragioni, come vive questo momento della memoria Nino Di Matteo? “Non mi piacciono – risponde – le sterili commemorazioni retoriche. C’è bisogno di un rispetto che si nutre soltanto di memoria e verità”.
La memoria di chi non dimentica, “come Giovanni Falcone, prima di essere ucciso a Capaci, venne ripetutamente ostacolato, isolato, delegittimato, anche da una parte importante delle istituzioni e della magistratura. La verità –